Locazioni normative /Aggiornamenti

Pubblicato il 25 Luglio 2009

Con l'affitto dell'azienda liberi da Gerico

Le procedure standardizzate sembrano inconciliabili con gli studi di settore; questo un ulteriore messaggio desumibile dalle risposte che le Entrate hanno rilasciato durante il Forum online del Sole 24 Ore con la stessa Agenzia. Pertanto, nessuna speranza di disporre, ad esempio, di specifiche funzioni che possano riconoscere automaticamente l'esistenza di una condizione di marginalità economica del contribuente che renda ininfluente la ricostruzione operata da Gerico. Intanto, sulla «Gazzetta Ufficiale» 138 del 17 giugno è stato pubblicato il decreto 19 maggio 2009 del ministero dell'Economia con l'«Approvazione della revisione congiunturale degli studi di settore». Secondo l'Agenzia, l'avvio del regime dei minimi dovrebbe avere sensibilmente ridimensionato la problematica; tuttavia, se è vero che, spesso, il contribuente di ridottissime dimensioni è in condizione di marginalità economica, non è vero il contrario. Infatti, anche qualora le dimensioni siano più strutturate, si potrebbe sfuggire alla logica di Gerico in quanto marginali, ad esempio, quando si è dei puri contoterzisti che lavorano per uno o pochi committenti. Del pari, è sintomatico che la collocazione in una zona disagiata, quale il piccolo Comune o la località difficilmente raggiungibile o priva di infrastrutture, non possa essere colta in via immediata. Risulta difficoltoso comprendere come, in una materia come quella degli studi che si fonda su concetti statistici, non sia possibile introdurre nel software una "schermata" che preveda un certo novero di situazioni in cui il carattere di marginalità possa essere fatto valere già in sede di compilazione del modello. Si tratterebbe, semplicemente, di recepire l'elenco delle situazioni già presenti nella circolare 38/E del 12 giugno 2007, sia pure contemplando alcune ipotesi residuali "aperte", eventualmente da discutere in contraddittorio. Nessun automatismo di ricalcolo anche per i compensi ai soci amministratori; queste somme, infatti, influendo direttamente sulla funzione matematica possono generare delle anomalie già riconosciute con la circolare 44/E/2008 che, peraltro, ha già proposto un possibile rimedio. Qui il quadro è sufficientemente chiaro e la problematica potrebbe essere facilmente gestita in via automatica; quando il compenso erogato supera l'importo "fisso" che la nota metodologica associa alla presenza di un soggetto lavorante, il risultato dello studio potrebbe risultarne distorto. La promessa lanciata al Forum è quella di una operatività del correttivo dal prossimo anno; il ritardo, probabilmente, è anche da ascriversi alla «perturbazione crisi» che ha assorbito l'impegno dei tecnici su altri fronti. Apprezzabile il chiarimento relativo all'esclusione da studi permanente (cioè per l'intera durata del contratto) per la società che affitta l'unica azienda; il dubbio, peraltro avallato dal comportamento di alcuni uffici periferici, riguardava la limitazione della causa di esclusione al solo esercizio di sottoscrizione del contratto o, per meglio dire, di effettivo avvio. La particolare situazione è menzionata tra quelle ritenute di non normale svolgimento dell'attività che, pur escludendo la rilevanza dei risultati di Gerico ai fini di un eventuale accertamento, obbligano comunque il contribuente alla compilazione del modello. Diversamente, qualora l'affitto riguardi solo uno o più rami d'azienda, lo studio continua a trovare applicazione.



Giovanni Negri MILANO Affittare a un extracomunitario senza permesso di soggiorno si può. A patto che il canone richiesto sia equo. A queste conclusioni approda la Corte di cassazione, con la sentenza 19171/2009 della Prima sezione penale depositata il 7 maggio, nella prima dettagliata analisi di una delle norme più contestate del "pacchetto sicurezza" varato l'anno scorso dal Governo a poche settimane dalla vittoria elettorale del centrodestra. La Corte si è trovata ad affrontare il caso di un italiano che aveva affittato un immobile a un cittadino indiano privo di titolo di soggiorno. La cifra pattuita, ma, a quanto è emerso, neppure mai pagata, era stata di 150 euro mensili. L'immobile interessato era stato messo sotto sequestro dal Gip, ma, in seguito, il riesame aveva annullato l'ordinanza. Contro quest'ultimo provvedimento aveva presentato ricorso in Cassazione il pubblico ministero, sostenendo che il cosiddetto «dolo specifico» e cioè la volontà di ottenere un profitto illecito dal reato non doveva riguardare il caso di chi affitta, ma solo quello di chi «dà alloggio – così recita il comma 5 bis dell'articolo 12 del decreto legislativo 286/98 come modificato dalla legge 125/08 – ad uno straniero privo di titolo di soggiorno, in un immobile di cui abbia la disponibilità». L'affitto, invece, secondo la tesi dell'accusa, non richiede l'obiettivo dell'ingiusto profitto. Questa scissione della norma penale in due arti non ha però persuaso la Cassazione che, a sua volta, ha ricostruito l'illecito in maniera unitaria. Quell'«ovvero» tra una fattispecie e l'altra, per la Cassazione non rappresenta tanto una disgiunzione, quanto una maniera per dare continuità, magari in modo non limpidissimo, alla frase. Tanto è vero che in altri casi il termine è usato dal legislatore per descrivere una pluralità di condotte punibili in un contesto unitario di reato (vedi i reati di riciclaggio o di falsità ideologica). In sostanza, l'interpretazione corretta della norma, sostiene la Cassazione è quella che fa leva su 4 elementi: una parte iniziale "di salvezza" («salvo che il fatto costituisca più grave reato»); l'indicazione del soggetto attivo generale («chiunque»); una sanzione finale («è punito con la reclusione da 3 mesi a 3 anni»); una parte centrale descrittiva delle possibili forme di condotte punibili indicate con le proposizioni «dà alloggio» e «cede in locazione», considerate in maniera equivalente. Quell'«a titolo oneroso», accostato solo a chi dà alloggio, nella lettura della Cassazione, si giustifica invece, e in tale senso soccorrono i lavori parlamentari, perché il legislatore ha voluto escludere le condotte umanitarie dalla sanzione penale. «La sicura conclusione di unitarietà – sottolinea la Cassazione – che deve affermarsi conduce, dunque, inevitabilmente, ad assumere il fine di ingiusto profitto come necessario anche alla forma di condotta consistente nel cedere in locazione». E l'ingiusto profitto si realizza quando l'equilibrio delle prestazioni è fortemente alterato a favore del titolare dell'immobile, con sfruttamento dello straniero irregolare. Nel caso esaminato dalla Corte, però, il riesame aveva ritenuto che i 150 euro non costituivano un fine ingiusto perché si trattava di un canone sostanzialmente equo e senza sbilanciamento a favore della parte più forte. © RIPRODUZIONE RISERVATAI paletti- Cassazione penale, sentenza n. 19171 del 2009Sotto i più diversi aspetti dell'analisi testuale, deve riconoscersi l'unitarietà del reato previsto e punito dal comma 5-bis dell'articolo 12, Dlgs 286/98 (...). La corretta destrutturazione della norma in esame come formulata porta dunque a rilevare: a) un incipit di salvezza («Salvo che il fatto costituisca più grave reato»); b) l'indicazione del soggetto attivo, generale («chiunque»); c) una sanzione finale («è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni»); d) una parte centrale descrittiva delle possibili forme di condotta punibili, indicate con le proposizioni «dà alloggio» e «Dunque, sede in locazione», paritariamente considerate


Cassazione penale. Se il canone richiesto è equo non si può contestare il profitto ingiusto
Lecito l'affitto ai clandestini

 

TEMPI DI DISDETTA SECONDO IL PAGAMENTO DEI CANONI

Per disdire un contratto di locazione per posto auto, quanto tempo prima della scadenza si deve inviare la raccomandata per la disdetta?

Per la disciplina dell’affitto di un posto auto, occorre fare riferimento – oltre che alle pattuizioni contrattuali – agli articoli 1571 e seguenti del Codice civile. Ove nulla sia stato pattuito in ordine al termine per la disdetta, il riferimento è all’articolo 1596, per il quale «la locazione per un tempo determinato dalle parti cessa con lo spirare del termine, senza che sia necessaria la disdetta. La locazione senza determinazione di tempo non cessa, se prima della scadenza stabilita a norma dell’articolo 1574 una delle parti non comunica all’altra disdetta nel termine fissato dalle parti o dagli usi».A sua volta, l’articolo 1597 del Codice civile dispone che «la locazione si ha per rinnovata se, scaduto il termine di essa, il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione della cosa locata o se, trattandosi di locazione a tempo indeterminato, non è stata comunicata la disdetta a norma dell’articolo precedente. La nuova locazione è regolata dalle stesse condizioni della precedente, ma la sua durata è quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato. Se è stata data licenza, il conduttore non può opporre la tacita rinnovazione, salvo che consti la volontà del locatore di rinnovare il contratto».Secondo l’opinione dominante e secondo la prassi, in assenza di espresse pattuizioni contrattuali, si ritiene che il termine per la disdetta debba individuarsi alla stregua delle modalità di pagamento dei canoni (se i canoni sono pagati semestralmente, il termine è di sei mesi; se i canoni sono trimestrali, il termine è di tre mesi; se i canoni sono mensili, il termine è di un mese).

L'IMPOSTA DI REGISTRO IGNORA I CONGUAGLI FUTURI

(VEDI NOTA DI CORREZIONE A FONDO PAGINA)
Ho sottoscritto un contratto di locazione a uso abitativo, il 1° novembre 2007. Al 1° novembre 2008, il locatore ha richiesto (come previsto dal contratto) un adeguamento del canone all'indice Istat, nella misura del 75%, prendendo a riferimento il valore di settembre 2008 (l'ultimo disponibile a quella data del 3,8%). A mio avviso si doveva considerare la variazione Istat nel periodo novembre 2007–settembre 2008, pari al 3% oppure il periodo novembre 2007 – novembre 2008, pari al 2.7 per cento.Poiché gli indici – specie negli ultimi tempi – sono di mese in mese molto variabili (fino anche a più di un punto percentuale) qual è il valore inequivocabile degli stessi, a cui fare riferimento? Ciò in considerazione del fatto che la registrazione del contratto doveva essere effettuata entro il mese di novembre scorso.

Nelle locazioni ad uso abitativo, cosiddette libere, di cui all’articolo 2, comma 1, legge 431/98 (durata di quattro anni più quattro), la misura dell’aggiornamento del canone e delle modalità di calcolo, è rimessa alla libera determinazione delle parti. Occorre, dunque, prima di tutto, accertare se le parti hanno disciplinato pattiziamente misura e modalità dell’aggiornamento.Ipotizzando che le parti abbiano convenuto soltanto che il canone debba essere aggiornato annualmente al 75%, l’indice cui fare riferimento è quello relativo alla annualità novembre 2007/novembre 2008. Poiché peraltro, il dato Istat viene pubblicato con due mesi di ritardo rispetto alla mensilità cui si riferisce, per prassi, si utilizza l’ultimo dato Istat disponibile prima del rinnovo del contratto (nel caso del lettore, se abbiamo ben compreso, il riferimento è settembre 2007/settembre 2008). Nel caso di specie, poiché l’indice Istat relativo all’annualità novembre 2007/novembre 2008 è inferiore a quello relativo alla annualità settembre 2007/settembre 2008, il conduttore ha – a mio giudizio – il diritto al conguaglio.Quanto al versamento della tassa di registro, a norma dell’articolo 17 Decreto del presidente della Repubblica 131/1986, per non incorrere in sanzioni, l’aliquota del 2% di cui all’articolo 5 della Tariffa deve essere calcolata sull’importo versato al conduttore, a prescindere da eventuali futuri conguagli.

NOTA
Attenzione! La risposta al quesito contiene un'imprecisione: nell'ultima frase leggasi “importo versato dal conduttore” anziché “importo versato al conduttore”
(La presente nota corregge quanto pubblicato sul fascicolo del "L'esperto risponde" del 02.02.2009)

L'AFFITTO NON PUÒ SUBIRE UN AUMENTO UNILATERALE

Vorrei sapere se, nel caso di locazione commerciale (sei+sei), il locatore, al termine della prima scadenza (sei anni), può o non può aumentare il canone di locazione previsto nel contratto. Molti si appellano a generiche formule di "adeguamento del canone". Vorrei sapere se ci sono fondamenti normativi. Infine, sono validi i contratti in cui si prevede un aumento del canone "a gradini", ad esempio un aumento di 100 euro ogni biennio?

Il locatore non può aumentare unilateralmente il canone.Secondo la più recente giurisprudenza, «in relazione al principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati a uso non abitativo, la clausola convenzionale che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, ovvero prevede variazioni in aumento in relazione a eventi oggettivi predeterminati nel contratto (e del tutto diversi e indipendenti rispetto alle variazioni annue del potere di acquisto della moneta) deve ritenersi in linea generale legittima (ex articoli 32 e 79, legge sull’equo canone). Solo nell’ipotesi in cui costituisca un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria è invece illegittima e quindi nulla» (Cassazione 23 febbraio 2007, numero 4.210).Il che significa che le parti possono pattuire eventuali aumenti del canone di locazione di anno in anno, purché l’aumento sia ancorato a parametri oggettivi, come ad esempio un obbligo del conduttore di ristrutturare i locali.Nelle locazioni commerciali, il canone di locazione non può essere aumentato se non in ragione dell’indice Istat.Anche a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 14/2009, all’articolo 32, nulla è cambiato. Il novellato articolo 32, legge 392/78 – entrato in vigore il 1º marzo 2009 – dispone infatti che «le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira. Le variazioni in aumento del canone, per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all’articolo 27, non possono essere superiori al 75% di quelle accertate dall’Istat, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione stagionale e a quelli in corso all’entrata in vigore del limite di aggiornamento di cui al secondo comma del presente articolo».

 

RINNOVO «4 + 4» SE MANCA LA DISDETTA

In riferimento alla risposta al quesito n. 1280 su un aspetto della locazione a uso abitativo, pubblicato sull'Esperto risponde 27/2009, vorrei sapere quali sono le norme a fondamento delle risposte. Il mio avvocato dice che il rinnovo, per mancata disdetta, è di soli quattro anni e non di otto (4 + 4).

Il contratto si è rinnovato alle medesime condizioni per ulteriori anni 4 più 4. Nel caso di specie è applicabile l'articolo 2, comma 1, ultimo periodo della legge 431/1998. Tale disposizione stabilisce che, in mancanza di disdetta, il contratto si rinnova tacitamente alle medesime condizioni (da intendersi alle condizioni previste dall'articolo 2, comma 1, della stessa legge). Pertanto, appare corretta la tesi che il contratto si rinnova per anni 4 più 4. In materia non esistono precedenti della Corte di cassazione

IL CONDUTTORE RISPONDE DEI DANNI A LUI IMPUTABILI

L'inquilina dell'appartamento di mia proprietà, in una giornata di vento, non ha fissato le persiane. Il perno di una si è staccato dal muro e la persiana ha rischiato di cadere nella via. Per immurare il perno occorre un furgone con cestello. I lavori non possono essere eseguiti dall'interno. La spesa e a carico del proprietario, dell'inquilino o del condominio poiché opere murarie?

Nelle locazioni abitative cosiddette libere di cui all’articolo 2, comma 1, legge 431/98, la ripartizione delle spese tra locatore e conduttore può essere definita pattiziamente dalle parti. In mancanza di diversa pattuizione, la spesa di ripristino del perno compete al locatore, posto che a tenore dell’articolo 1576, Codice civile, «il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie eccettuate quelle di piccola manutenzione, che sono a carico del conduttore».Nella specie, tuttavia, il danno al perno della persiana può essere stato causato dal comportamento negligente del conduttore, che non ha provveduto a fissare la persiana in una giornata di forte vento, con la conseguenza in tal caso che il costo del ripristino deve essere accollato a quest’ultimo in tutto o in parte (a norma dell’articolo 1227, Codice civile). E ciò, in forza dell’articolo 1587, Codice civile, per il quale «il conduttore deve prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato nel contratto o per l'uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze».Si esclude, comunque, che la spesa possa essere addebitata al condominio, posto che la persiana è destinata a servire la proprietà esclusiva del lettore.

Scritto da Notizie immobiliari

Con tag #Affitti locazioni

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