Inchiesta. Jesolo, dove il mattone fa da padrone (1° parte)
Pubblicato il 21 Agosto 2009
JESOLO (VE) - Jesolo, una delle maggiori località turistiche italiane per presenze estive, oggi potrebbe essere definita per antonomasia la città del cemento. Negli ultimi anni le amministrazioni comunali che si sono succedute alla guida del paese hanno preferito puntare ad uno sviluppo urbanistico esponenziale senza abitanti. Un fatto alquanto anomalo per una qualsiasi cittadina, dove solitamente l'incremento delle strutture urbanistiche viaggia di pari passo con l'aumento demografico. Eppure qui è successo esattamente il contrario, almeno finora.
Se l'ondata della crisi economica mondiale, che sta investendo gran parte dei paesi occidentali ha determinato una battuta d'arresto sul mercato immobiliare, Jesolo è esente anche da questo fenomeno dove si continua a costruire a prezzi che nell'ultimo anno sono aumentati addirittura del 5-10%.
Prezzi che possono partire dai 3mila euro al metro quadrato per le zone più arretrate fino a raggiungere quota 15mila, per non parlare delle abitazioni frontemare, paragonabili agli esclusivi appartamenti dei centri storici italiani. Per soli quaranta metri quadrati in una costruzione delle nuovi torri si può arrivare a sborsare anche 650mila euro alla faccia di un progresso che sicuramente accontenta una risicata fetta di facoltosi e arricchisce le tasche di pochi. Oppure per un 70 mq in una palazzina di 25 anni ci vogliono ben 550 milioni di euro. Lo sanno bene le agenzie immobiliari che fino a pochi anni fa si contavano sulle dita di una mano e ora sono almeno una trentina.
Una contraddizione in termini, direbbe forse l'architetto di fama mondiale, Kenzo Tange, che chiamato dall'amministrazione comunale nei primi anni 90 ebbe per primo il compito di gettare le linee guida per trasformare Jesolo in una città vera, e che in termini pratici avrebbe dovuto dare quell'impulso positivo ad una località balneare che vive solo 4 mesi all'anno per poi cadere nella stagione invernale in una sorta di letargo civile. E forse la causa è proprio da ricercare in questa politica espansionistica che non ha tenuto conto che una cittadina cresce solo quando esiste un collegamento direttamente proporzionale tra persone che vi risiedono e sviluppo urbanistico, e non viceversa.
D'altra parte l'ambizioso "Master Plan" realizzato dal noto giapponese di fama internazionale, presentato nel 1994 e approvato definitivamente con qualche variante il 18 aprile del 2003, aveva ben altri obiettivi, rispetto a quello che oggi è sotto gli occhi di tutti.
L'architetto giapponese Kenzo Tange
Oggi a guardare Jesolo i veri obiettivi sono stati elusi. Quel che resta del famoso master plan, che nel corso degli anni ha subito circa 300 varianti di programma, è un'esasperta cementificazione con la conseguenze perdita anche della flebile identità sociale che ha accompagnato la storia di Jesolo per oltre un secolo.
Così le intenzioni originarie del tanto discusso Master Plan si sono sempre più affievolite per fare spazio ad una speculazione selvaggia, quasi fosse la panacea di tutti i mali. Ascoltando alcuni dei residenti il mercato immobiliare avrebbe favorito i piccoli e medi imprenditori della regione che avrebbero investito il contante delle loro aziende sul sicuro mattone, determinando una lievitazione dei prezzi incontrollata.
Così jesolo oggi rappresenta un caso alquanto singolare con prezzi che viaggiano da se, a scapito di una crescita demografica parallela, e senza migliorare la qualità della vita per chi ci vive tutto l'anno.
Indubbio che aumentare demograficamente una città comporta un onere maggiore per l'amministrazione: più scuole, più strutture pubbliche e più servizi d'aggregazione sociale, forse ritenuti poco importanti per l'attuale gestione. Ma questo elemento rappresenta il cuore pulsante di una qualsiasi città. Nel 1991 Jesolo, secondo i dati diffusi dall'Istat aveva 22.151 residenti e dieci anni più tardi erano diventati 22.698. Una crescita irrisoria rispetto ai presunti 6 milioni di metri cubi di cemento realizzati negli utlimi anni, e che secondo i demografi si possono tradurre in una capacità insediativa di circa 50mila abitanti. D'altra parte siamo in una regione che registra un primato negativo assieme alla Puglia e al Lazio, per quanto concerne l'avanzata del cemento. Dal 2001 al 2008 il Veneto ha perso ben 100 chilomentri quadrati tra aree verdi e agricole (Rapporto Istat 2009) per far spazio a nuovi insediamenti urbani.